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Capitolo 3


3.     La dialettica e l’articolazione triadica di Hegel: i tre massimi sistemi filosofici dell’idealismo


In questo capitolo (sciogliendo una riserva che aprì laddove indicai la missione del filosofo come sintesi fra le prediche e le ammonizioni dei due Dàimones), voglio delineare la genesi della struttura dialettica dell’articolazione triadica elevata ai suoi massimi livelli con Georg Hegel, che elaborando il pensiero e sintetizzando i sistemi dei suoi predecessori, portò all’apice della completezza l’intero idealismo.
Con ciò non voglio descrivere i caratteri dell’idealismo o delle sue sfumature interne, ma voglio spiegare come è nata l’articolazione triadica, e come divenne manifesto stesso dell’idealismo assoluto.
E’ quindi innegabile il merito al filosofo di Stoccarda, non di aver creato una filosofia giustificatrice della religione e prostituta del sistema (come malignamente la considerò Ludwing Feuerbach), ma di aver raccolto l’intero pensiero idealista che va da Immanuel Kant, come profeta e predecessore di questa corrente, a Fichte, a Schelling, senza precludere ai pensieri di altri due grandi della speculazione filosofica quali Platone e Spinoza.
Sta quindi nell’Aufhebung hegeliano il segreto della dialettica articolazione copertina dell’idealismo, non semplice pensiero di questo filosofo, ma sunto del pensiero di giganti sulle cui spalle si è poggiato lo stesso Georg Hegel per formulare il suo pensiero, non senza correggere alcune imperfezioni interpretative dei suoi predecessori.
Egli stesso pose nella sua articolazione triadica l’idealismo di Fichte come tesi, quello di Schelling come antitesi, ed il proprio come sintesi, anche se la reale articolazione triadica vuole abbracciare altri tre elementi: trattasi dei tre massimi sistemi filosofici, che sebbene ispirati qui da Fichte e Schelling, hanno radici ben più profonde.
 Nella “Prima introduzione alla dottrina della scienza” (1797), Johann Fichte affermò che idealismo e dogmatismo sono gli unici due sistemi filosofici possibili, quindi la scelta del filosofo consta nel sacrificare l’autonomia dell’io a quella della cosa (dogmatismo) o viceversa (idealismo), poiché l’idealismo consiste nel partire dall’io, o dal soggetto, per poi spiegare, su questa base, la cosa o l’oggetto; viceversa il dogmatismo consiste nel partire dalla cosa in sé, o dall’oggetto, per poi spiegare su questa base, l’io o il soggetto.
L’imperfezione di Fichte sta nell’unificare in un unico senso il concetto di cosa e di cosa in sé, poiché si riferisce a quest’ultima come oggetto. Da Kant ereditiamo le definizioni di fenomeno e noumeno, dove il fenomeno è ciò che è presente all’interno delle coordinate spazio-temporali, a cui sono applicabili le scienze matematiche e fisiche e le dodici categorie; il noumeno è ciò che si trova al di fuori di tali coordinate, che è semplicemente pensabile, ma non conoscibile poiché non presente nel palcoscenico fenomenico dove la coscienza dell’io-penso fa da spettatrice. E dal momento in cui nel fenomenico agisce l’oggetto o la cosa, e nel noumenico agisce Dio o la cosa in sé, non è permissibile confondere palcoscenico con il dietro-le-quinte, materia sensibile con idea pensabile, oggetto con concetto.
Lo stesso Fichte si accorge che questa interpretazione non soddisfa e non è sufficiente poiché nessuno di questi due sistemi riesce a confutare direttamente quello opposto, in quanto non può fare a meno di presupporre, fin dall’inizio il valore del proprio principio (l’io o la cosa in sé). Questa confusione di Fichte è riscontrabile anche nella sua dottrina morale, in cui andando a sostituire alla “postulazione kantiana di un Dio al fine morale” un non-io come ostacolo da superare, facendosi forte dell’insegnamento del filosofo di Konigsberg, il quale asseriva che non c’è attività morale laddove non ci sia una sforzo (Streben); e non c’è uno sforzo laddove non ci sia un ostacolo da vincere. Tale ostacolo è quindi per Fichte il non-io, nell’accezione materiale tralasciando il divino.
E’ pertanto talvolta oscuro se con non-io Fichte voglia identificare la sola materia, oggetto, cosa, oppure a queste voglia sommare la cosa in sé, il noumenico, il divino, quindi racchiudere in un sol termine tutto ciò che sia diverso dall’io, quindi cosa e cosa in sé, pertanto i due sistemi filosofici di Fichte vanno rielaborati e completati, poiché peccano d’imprecisione logica, oltre che non assimilabili dalla tradizione kantiana.
 Distanziandosi, ma non eccessivamente, da Fichte, Friedrich Schelling ammette due possibili direzione della ricerca filosofica: l’una, il naturalismo spinoziano, che è diretto a mostrare come la natura si risolva nello spirito; l’altro, l’idealismo fichtiano, diretto a mostrare come lo spirito si risolva nella natura.
Più cauto di Fichte, egli si accorge già da subito che una pura attività soggettiva (l’io di Fichte) non potrebbe spiegare la nascita del mondo naturale, e che un principio puramente oggettivo (la sostanza Spinoziana) non riuscirebbe a spiegare l’origine dell’intelligenza e dell’io.
Schelling giunge alla conclusione che il principio supremo dev’essere quindi un assoluto o Dio che sia insieme soggetto e oggetto, ragione e natura; ciò che sia l’unità, l’identità o l’indifferenza di entrambi, aggiungendo che l’io o lo spirito è la stessa natura conscia, e viceversa la natura non è che lo spirito inconscio.
Esiste quindi un “anima del mondo” che è la stessa “intelligenza auto creatrice” che nella natura si manifesta come conato fallito di una riflessione a se medesima, e che nell’uomo invece dopo un “odissea” dello spirito torna presso di sé.
Qui sorge lo stesso problema strutturale che era sorto per Fichte, poiché a differenza del primo riconosce che l’io non può spiegare la cosa, e viceversa, ma pone soggetto ed oggetto identici nel concetto di Assoluto o Dio, quindi supponendo un dogmatismo di base.
A questo punto come viene identificata “l’intelligenza auto-creatrice”o Assoluto o Dio? O per meglio dire, abilmente elusa dal filosofo, la cosa in sé?
Poiché dicendo che se tutto consta nell’io si parla di idealismo in senso stretto o Fichtiano, se tutto consta nella cosa si parla di naturalismo sostanziale o spinoziamo, e se tutto consta in un Assoluto o Dio si parla di dogmatismo.
Mettendo momentaneamente da parte la risoluzione della natura nello spirito, e dello spirito nella natura, mossa da Schelling, ci troviamo davanti a tre sistemi filosofici: uno in comune tra Fichte e Schelling (l’idealismo in senso stretto), uno enunciato da Spinoza e ripreso da Schelling (naturalismo), ed uno intuito da Fichte ma che meglio si rifà a filosofie classiche greche e medievali cristiane (platonismo e dogmatismo).
Abbiamo riscontrato così un gruppo di sistemi adesso completato dalla coniugazione di Fichte, Schelling e la filosofia classica dove troviamo:

·  l’idealismo che muove dall’io o dallo spirito per spiegare la cosa e la cosa in sé;
·  Il naturalismo che muove dalla cosa o dalla natura per spiegare l’io e la cosa in sé;
·  Il dogmatismo che muove dalla cosa in sé o Dio per spiegare la cosa e l’io.
Immanuel Kant, nella sua filosofia in generale, e nella “Critica della Ragion pura” (1781) nello specifico, individua gli elementi della conoscenza e della speculazione dell’uomo.
Pone come osservatore della realtà, autocoscienza, legislatore della natura, filosofo razionale l’io-penso. Pone come ambito in cui l’io-penso conosce tramite le scienze matematiche e fisiche, le coordinate spazio-temporali il fenomenico, e altresì il luogo fuori da tali coordinate dove la ragione umana non può più agire e giudicare, pensabile ma non conoscibile, il noumenico. Questi tre elementi sono i cardini della sua filosofia, poiché su questi si basa la sua speculazione, e adesso diverranno le fondamenta della nostra.
Credo sia questa la sede più opportuna per inserire il terzo pensiero di questo scritto:

PENSIERO N°66
"Ciò che Kant chiama pensabile ma non conoscibile, io non posso che chiamarlo intuibile ed osticamente conoscibile: il fatto che il noumeno resti per noi un mistero non è da imputarsi alla sua natura intangibile, ma alla nostra natura limitata. Tutto è fenomeno, finanche il Creatore!
Ma l'uomo, storicamente ed antropologicamente egoista ed ipocrita, ha giustificato questa sostanziale propria incapacità con una meno sgradevole e caina impalpabilità di ciò che non si vede.
L'uomo ha trasferito il frutto di una propria disabilità in capo a ciò che non poteva difendersi dalle accuse, condannando sì l'imputato a non-esistere.
Questo naturale e doloso disconoscimento da parte dell'uomo è sempre esistito e sempre esisterà, anche a fronte di rivelazioni tangibili, occasionali e non, all'uopo verificatesi per scongiurare questa maledizione che è l'ignoranza."

Ritornando alla nostra trattazione, poniamo in associazione all’io-penso kantiano tutti quei sinonimi fin’ora riscontrati, come: io, io finito, spirito, uomo, soggetto, anima, etc., elementi dell’idealismo. Poniamo al fenomenico kantiano tutti quei sinonimi fin’ora riscontrati, come: natura, sostanza, materia, oggetto, cosa, etc., elementi del naturalismo. Poniamo in fine al noumenico kantiano tutti quei sinonimi fin’ora riscontrati, come: Dio, Assoluto, Concetto, Dogma, cosa in sé, idea, etc., elementi del dogmatismo.
Abbiamo trovato così già a partire da Kant gli elementi costitutivi dei tre massimi sistemi distillati dal pensiero di questi filosofi, successivi allo stesso Kant. Queste solide basi ci portano adesso a formulare, seguendo maggiormente l’esempio di Schelling che quello di Fichte, una concezione filosofica basata su tre sistemi, quali: idealismo, naturalismo e dogmatismo.
Ma come facciamo a capire qual è il sistema reale, quale fra questi non è fallace, quale di questi è il reale sistema da seguire, qual è più veritiero, quale ha più solide basi razionali e logiche, chi in vero è l’orologiaio di tutto: l’Uomo, la Natura o Dio? La risposta sta nella coniugazione di questi tre massimi sistemi: con l’Articolazione triadica.
 Adesso raccogliamo tutti gli elementi del dogmatismo, per semplicità, in un unico termine: Idea (riferendoci al noumenico, al mondo delle idee, all’astrattismo, al trascendente); allo stesso modo raccogliamo tutti gli elementi del naturalismo in un unico termine: Natura; e così anche per l’idealismo: Spirito. Una volta raccolti in tre elementi sintetizzati nei nostri tre massimi sistemi possiamo ben riconoscere l’articolazione triadica che Hegel aveva costituito per il suo pensiero filosofico, che attraverso la dialettica e l’Aufhebung faceva divenire l’uno nell’altro secondo lo schema di Tesi, Antitesi e Sintesi. Riscontriamo come Hegel volesse far divenire questi tre sistemi in modo dinamico e connesso, scrivendo per l’appunto componimenti per i diversi elementi rispettivamente: Logica per l’idea; Filosofia della natura per la Natura; Filosofia dello spirito per lo Spirito.
Ma a questo punto notiamo un particolare interessante che ad un occhio vigile e preparato non può sfuggire, riscontrabile dai rapporti tra questi elementi: il rapporto che intercorre tra Idea e Natura, cosa in sé e cosa, concetto ed oggetto, noumeno e fenomeno, trascendente ed immanente, non sono che la conoscenza, gli ambiti dove il agisce il pensiero umano, pensandoli entrambi ma conoscendone solo uno, il fenomenico; il rapporto che intercorre tra Spirito e Idea, tra l’io-penso e Dio, tra l’io ed il noumeno, tra l’essere pensante ed il dogma non è che la morale, poiché l’uomo agisce in funzione di un bene che è riscontrabile non sulla terra (stoici ed epicurei) bensì nel trascendente, in Dio, nel noumeno, nell’aldilà; il rapporto che intercorre tra Spirito e Natura, tra l’io-penso e la cosa, tra il soggetto e l’oggetto, tra l’uomo ed il mondo non è che il giudizio, il sentimento, la sensazione più o meno piacevole, bella, sublime.
A questo punto notiamo come Immanuel Kant aveva profetizzato questa articolazione andando ad interporre tra gli scritti “ad hoc” composti da Hegel, gli scritti di rapporto fra tali elementi che sono rispettivamente: la “Critica della Ragion Pura” per il pensiero e la conoscenza, la “Critica della Ragion Pratica” per la morale, e la “Critica del Giudizio per il giudizio” ad il sentimento.
Notiamo come alcuni pensatori si siano posti precisamente in determinati sistemi: Fichte (Idealismo), Spinoza (Naturalismo), Platone a padri della chiesa (Dogmatismo). Alcuni si siamo interposti tra due sistemi, ed il nostro caso più rilevante è Schelling (tra Idealismo fichtiano e Naturalismo spinoziano). E notiamo come Kant non abbia preso posizione, ma si sia limitato a descriverne i rapporti, e come Hegel abbia difeso la sua struttura triadica definendone ogni suo elemento costitutivo.
Immanuel Kant non poteva conoscere, per questioni cronologiche, il pensiero hegeliano, ma nonostante ciò il suo pensiero è perfettamente intersecante con quello hegeliano.
Georg Hegel forgiò tutta la sua speculazione sull’articolazione triadica, e come aveva anticipato Schelling, pose quest’energia propulsiva di “anima del mondo” potenza auto-creatrice nell’idea concreta e penetrante nella realtà come verità razionale, idea poi dispiegantesi nel fenomenico costituendolo e dandogli una forma, delle qualità, delle quantità, delle relazioni, ma non una coscienza, che solo con la concretizzazione della natura nell’uomo poteva rivelarsi a se stessa divenendo autocoscienza, e una volta che tale avesse compreso tutto questo divenire (panta rei), abbia costituito infine con Hegel l’articolazione triadica.
Non è difficile intravedere tra questa struttura dinamica la stessa Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo, un Idea pura (Dio) che si dispiega nella natura (Cristo), e da essa si concretizza nello spirito dell’uomo (Spirito Santo), che fosse intenzionale o meno dal filosofo di Stoccarda, per giustificare razionalmente la presenza del divino della religione cristiana.

In ogni caso, la critica mossa su questa articolazione hegeliana, non è che una critica mossa all’intero idealismo, poiché l’atto di Hegel non è stato che di togliere e conservare (Aufhebung), di raccogliere tutto il pensiero precedente, profetizzato da Kant, esplicitato da Fichte, elaborato da Schelling e concluso da egli stesso.
Non è un caso che filosofi successivi all’idealismo fossero rimasti influenzati in modo conscio o meno da questo processo dinamico; basti pensare all’interpretazione del noumeno di Schopenhauer, come rivelazione della volontà di vivere a sé stessa, che da mistero avvolto dal velo di Maya si fa riscontrabile all’uomo e nell’uomo.
Proprio sulla tangibile razionalità e ragionevolezza della dialettica della sua articolazione triadica, Hegel fondò la sua visione razionale della realtà, affermando che alla luce di siffatta dialettica l’essere coincide col dover essere, e quindi la realtà non poteva che esser razionale, e quindi la razionalità non poteva che esser reale.
Proprio si collocano due dei miei personali pensieri, che come si avrà modo di capire, a differenza dei precedenti, questi sono suggeriti dal Dàimon negativo:
PENSIERO N°67
"Giacché l'irrazionalità del reale si palesa a guisa di profezia autorealizzantesi - in quanto come qualsivoglia difetto, ciò non sussiste fintantoché non venga quantomeno rilevato -, non si ecceda quindi nel perfezionamento dell'opera meritoria oltre quel tanto ch'è bastevole per non tornar quanto detto ad inevitabile ed iniquo nocumento."

PENSIERO N°68
"Poiché credo nella massima razionalità degli effetti e delle conseguenze rispetto alle cause ed alle condotte, non esiste discrepanza o distorsione tra merito ed onere od onore.
Ergo, qualsiasi cosa ti sia accaduta, qualsiasi condanna, pena od afflizzione, onere o soffernza, condizione o status, ma così come anche qualsiasi premio, complimento o gioia, onere o godimento, plauso o congratulazione, ti è necessariamente di merito, di diritto, per giustizia e per razionalità.
Senza ombra di contingenza, ciò che sei, fai o possiedi oggi è direttamente proporzionale, razionale e necessario a ciò che fosti, facesti o possedesti ieri, ed altrettanto proporzionale, razionale e necessario a ciò che sarai, farai o possederai domani."

Voltaire, completando il detto secondo cui “la vita è una partita a carte”, ha affermato che “il giocatore deve accettare le carte che la vita gli dispensa; una volta che le ha in mano, lui soltanto può però decidere come giocarle per vincere la partita”.

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