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Capitolo 4


4.     Fenomenico,  lenti azzurre e percezione

Con richiamo al Pensiero N°66, qui di seguito un saggio a ciò inerente.
Immanuel Kant sosteneva che la realtà è fatta congiuntamente da Fenomenico e Noumenico: tutto ciò che è tangibile: può essere misurato, contato, pesato, quantificato, toccato, giudicato, ed è all'interno delle coordinate assolute di spazio e tempo, immanente, fisico, materiale; e tutto ciò che può essere pensato ma non conosciuto: ipotizzato, teorizzato, al di là di spazio e tempo, il trascendentale, metafisico, l'ideale, il divino.
L'uomo, in quanto essere sensibile, è capace di percepire la realtà, ma purtroppo non nella sua interezza: la ragione, la matematica, la fisica, la misura, non si possono spingere oltre il fenomenico; per il noumenico invece l'uomo non può adoperare più che l'intuizione e, nei casi di credenza, la fede.
La percezione dell'uomo però è filtrata da lenti azzurre che distorcono la realtà: una distorsione che però nelle parole di Kant non lascia intendere se si tratti di quantitativa o qualitativa della realtà.
La domanda che sorge spontanea è pertanto: l'uomo vede tutto e male, oppure vede parzialmente ma bene?
L'ipotesi che l'uomo veda tutto e bene è esclusa poiché altrimenti o il discorso di Kant è errato, o la realtà è fatta solo dal fenomenico (soluzioni entrambe care al nichilismo, ma incompatibili con la nostra trattazione).  Quindi, tornando la discorso di prima, le lenti azzurre o ci ostruiscono parzialmente la vista, o ce l'annebbiano.
Questa nuova soluzione non fa altro che giungere alla rielaborazione del fenomenico: non più esteso tra due dimensioni (Spazio e Tempo), ma tre, dove il nuovo asse sarebbe la Percezione.
Il fenomenico non avrebbe motivo di essere senza l'uomo, in quanto nessun uomo potrebbe vedere, toccare, e pensare il fenomeno, quindi solo con l'uomo il fenomenico esiste, ma proprio perché vi è la Percezione, in quanto senza Percezione l'uomo non sarebbe uomo, anzi, non esisterebbe neppure l'uomo.
Quindi l'uomo è per il fenomeno solo Percezione, e solo la Percezione è la lettura, il mezzo per sentire il fenomeno: si tratta del rapporto tra uomo (o "io") e fenomeno (o "natura"). Il fenomenico sta dunque entro tre dimensioni, tre assi (x,y,z) che divengono Tempo, Spazio, Percezione.
Ma a questo punto il passo è breve a porre l'intera realtà (e non solo il fenomenico) in questo sistema a tre dimensioni, congiungendo fenomenico e noumenico. Si deduce che in assenza di Percezione (e quindi d'uomo) sarebbe tutto noumeno (in quanto Spazio e Tempo sono infiniti), quindi essendo la Percezione l'uomo, questi legge solo ciò che percepisce.
La storia ci ha dimostrato come l'asse della Percezione (si badi: finita e proporzionale alla ragione dell'uomo) abbia amplificato la sua portata in modo progressivo.
Quindi la Percezione tende a progredire in modo tale da trasferire dal metafisico al fisico quelle intuizioni che divengono fenomeno: al fulmine viene tolta l'etichetta di "metafisico" e la si sostituisce con quella di "fisico", e così via per qualsiasi cosa che resta all'uomo inspiegata... adesso!
Il Noumeno, ciò verso il quale si può credere solo mediante intuizione o fede, è ciò verso cui la Percezione non giunge.  All'infinito l'uomo conoscerà il Noumeno che, attenzione, non sarà più tale, ma diverrà fenomeno. L'uomo, è in potenza, percezione finita ma in divenire tendente all'infinito. Non si può dire quindi che la realtà corrisponda solo con il Fenomenico, e quindi con la Percezione in quanto l'uomo non giunge oltre questa (come l'esempio sopra), ma la realtà comprende tutto, pure il Noumeno, che l'uomo, nel suo cammino verso la conoscenza, tramuterà in fenomeno. Un tentativo di leggere il Noumeno in chiave fisica è stato fatto dall'Antroposofia di Steiner, cercando di unire Spirito e Scienza.
Ma fintantoché l’uomo non ha foggia di ravvisare cosa si nasconde sotto il velo di Maya con l’etichetta “infinito”, ciò per l’umanità sarà solo tabù: non a caso la filosofia di chi ha toccato questo argomento è stata marchiata come “marcia” o “matta”.

PENSIERO N°69
"In questo mondo il pavido invito a desistere dall'euristiche dell'infinito e della verità è in angosciante foggia secondo solo, per enfasi, alla sollecitazione della volontà di darne una - umana o meno che sia - ragionevole e condivisibile esplicazione."

PENSIERO N°70
"Perché l'uomo è incapace di rapportarsi con l'infinito? 
Perché rifiuta che in uno spazio infinito è infinito il numero di pianeti abitati, e quindi infinite le possibilità di trovare un altro individuo nell'Universo uguale in tutto e per tutto a sé; e perché in un tempo infinito è certamente infinito il numero di volte in cui la combinazione della sua vita o della sua esistenza si ripete uguale in tutto e per tutto nell'eternità senza fine. Chiunque è quindi incapace di accettare che esiste qui e adesso, ovunque e sempre."

Il pensiero che precede è ispirato alla filosofia non solo orientale ma anche a quella di Friedrich Wilhelm Nietzsche ed alla sua teoria dell’eterno ritorno: « Che accadrebbe se un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione [...]. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!". Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: "Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina"?.»[1]
Io non condivido il pensiero nietzscheano. Esso non tiene conto dell’irripetibilità dell’anima umana, saldandosi a credenze orientali di reincarnazioni e di “serpenti che si mordono la coda”.
Non è quindi condividibile l’eterno ritorno così come lo ha cristallizzato questo disturbato autore, mentre potrebbe essere condivisibile un “eterno ritorno” di civiltà: come l’andamento di una sinusoide le civiltà sul nostro pianeta si susseguono con periodi di lustro ed altri di decadenza; ciò può avvenire nell’arco di secoli e/o millenni (e ciò rientrerebbe più o meno al di sotto della nostra “supervisione” storca-archeologica) oppure può avvenire nell’arco di diverse ere.
Se ciò avvenisse, e cioè che una civiltà o più civiltà (tecnologicamente avanzate) fossero scomparse in ere a noi osticamente osservabili oppure ormai dimenticate, non è difficile immaginare come i culmini di ogni era avrebbero conosciuto tecnologie sviluppate da popoli ora sconosciuti  o forse non più conoscibili.
Come spiegare per esempio gli “oggetti fuori dal tempo” come la Mummia di Usermontu (contenente una protesi metallica risalente al 656 a.c.), le incisioni nella trave di 3000 anni fa di un tempo del Nuovo Regno egizio (raffiguranti sottomarini, elicotteri ed aeroplani sgancianti missili), i sei alianti di legno nelle piramidi di Saqqara, il Teschio di Cristallo di Mitchell-Hedges (scoperto in una piramide Maya), la navicella di Tropakkale datata 3000 anni ritrovata in Turchia (raffigurante una possibile nave spaziale o macchina del tempo), i Jet d’oro precolombiani datati 1000 anni orsono, La batteria di Baghdad datata 250 più o meno intorno all’anno zero, le pietre Ica (raffiguranti insieme uomini e dinosauri), il Teschio dello Zambia (esempio più eclatante) datato 300.000 anni fa (mentre i primi uomini sono datati 75.000 anni fa, le statuette di Acambaro datate 2500 anni orsono raffiguranti dinosauri, la pagoda nera di Konarak del XIII sec. (la cui pietra sommitale non è collocabile se non con macchinari moderni), le lampade di dendera (raffigurazioni sulle mura di templi egizi di lampade o grossi neon con tanto di filo elettrico? E gli esempi potrebbero a dismisura moltiplicarsi.
Con riferimento alle interessanti lampade di Dendera: “In diversi luoghi all’interno del tempio tardo Tolemaico di Hathor a Dendera, in Egitto, strani bassorilievi sulle pareti intrigano da anni gli studiosi. Difficile, infatti, per loro spiegarne la natura, sulla scorta di temi mitico-religiosi tradizionali, ma nuove e più moderne interpretazioni ci giungono dal campo dell’ingegneria elettronica. In una camera, il pannello superiore, mostra alcuni sacerdoti egiziani che fanno funzionare quelli che appaiono come tubi oblunghi che compiono diverse funzioni specifiche. Ogni tubo ha all’interno un serpente che si estende per tutta la sua lunghezza. L’ingegnere svedese Henry Kjellson, nel suo libro "Forvunen Teknik"(tecnologia scomparsa) fece notare che nei geroglifici quei serpenti sono descritti come "seref", che significa illuminare, e ritiene che si riferisca a qualche forma di corrente elettrica. Nella scena, all’estrema destra, appare una scatola sulla quale siede un’immagine del Dio egiziano Atum-Ra, che identifica la scatola quale fonte di energia. Attaccato alla scatola c’è un cavo intrecciato che l’ingegner Alfred D. Bielek identifica come una copia esatta delle illustrazioni odierne che rappresentano un fascio di fili elettrici. I cavi partono dalla scatola e corrono su tutto il pavimento, arrivando alle basi degli oggetti tubolari, ciascuno dei quali poggia su un sostegno chiamato "djed" (loZed) che Bielek identificò con un isolatore ad alto voltaggio. Ulteriori immagini trovate all’interno della cripta mostrano quelle che potrebbero essere altre applicazioni del congegno: sui bassorilievi si vedono uomini e donne assisi sotto i tubi, come in una postura per creare una modalità ricettiva. Che tipo di trattamento irradiante vi si stava svolgendo?”[2]

PENSIERO N°71
"Verrà un giorno in cui chiunque potrà conoscere, vedere, toccare, udire e studiare chiunque altro e qualsivoglia cosa in un mondo in cui la rete di comunicazione sarà una e capace di tutto; sarà il culmine della nostra tecnologia e della nostra civiltà, ma diverremo a quel punto totalmente ed inscindibilmente dipendenti dal sistema, senza riuscir a saper far alcuna cosa senza di esso.
Un giorno poi, quando avremo smesso di operare con l'uso delle mani, ed avremo dimenticato ogni lavoro col corpo, avverrà una catastrofe: il sistema smetterà di funzionare, la rete si dissolverà, ed irrimediabilmente le nostre conoscenze andranno perdute con essa.
Delle nostre costruzioni non resterà che l'eterna ed indissolubile pietra, ed a quel punto a noi non resterà altro che ricominciare tutto da capo."

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